Filosofo e teologo irlandese.
Il suo appellativo (
Scoto ed
Eriugena sono sinonimi) deriva dal
nome della regione di nascita. Intorno all'anno 847 si recò a Parigi,
ricoprendo la carica di
magister alla
schola palatina della corte
di Carlo il Calvo, come è attestato dalla sua partecipazione alla
controversia teologica in tema di predestinazione
(V.) innescata dalle tesi di Gotescalco di Fulda.
Su sollecitazione dello stesso re Carlo,
S.E. tradusse in latino le opere
di Dionigi l'Aeropagita, che rappresentarono una delle sue principali fonti,
insieme ad Agostino e alla Patristica, sia latina (Gregorio Magno e Isidoro),
sia greca (completò infatti traduzioni anche di Gregorio di Nissa e di
Massimo il Confessore). Non si hanno notizie certe di
S.E. a partire
dall'877, anno della morte di Carlo il Calvo: secondo alcuni morì lo
stesso anno in Francia, secondo altri, dopo essere stato convocato in
Inghilterra a dirigere la
schola di Oxford, morì, forse
assassinato, in un monastero di quella regione. Animato da uno spirito di
ricerca libero e vivace, dotato di una vasta erudizione e di una grande
confidenza con il greco, per primo nella sua epoca applicò il metodo
aprioristico deduttivo, che fu poi caratteristico della ricerca scolastica (V.
SCOLASTICA). Proprio la frequentazione dei Padri
orientali orientò secondo una nuova prospettiva la sua speculazione, in
precedenza incentrata solo sugli studi dei grammatici e dialettici latini, che
fu tesa all'esposizione sistematica della realtà in chiave
neoplatonico-agostiniana, non esitando tuttavia, per quanto riguarda il tema
della predestinazione e del libero arbitrio (che egli trattò nel
De
predestinatione scritto contro la teoria della doppia predestinazione di
Gotescalco) a modificare la dottrina agostiniana. Mentre per Agostino, infatti,
la libera volontà dell'uomo poteva consistere solo nella volontà
di bene, per
S.E. essa coincideva con il libero arbitrio, cioè con
la libera possibilità di scelta sia per il bene sia per il male. Quindi,
causa del peccato è solo la mutevolezza della volontà in ordine al
proprio oggetto, e solo tale volontà sarebbe soggetta alla pena
conseguente il peccato, non l'intera natura del peccatore. L'uomo, dunque, in
forza della sua natura (che è data in virtù della creazione) e
della Grazia (che è concessa gratuitamente da Dio senza meriti da parte
dell'uomo stesso) può, anche dopo il peccato, volgere nuovamente la
propria volontà al bene e ritornare a Dio. Coerentemente a tale
impostazione,
S.E. arrivò a sostenere che anche la condanna
all'Inferno in realtà sarebbe transitoria, perché Dio non potrebbe
destinare la natura umana del singolo alla dannazione eterna: questa dottrina fu
tuttavia condannata come eretica dal Concilio di Valenza dell'855. Capolavoro di
S.E. sono considerati i cinque libri del
De divisione naturae (il
cui titolo originale fu
Perì phýseon), composti in forma di
dialogo tra maestro e discepolo. Essi rappresentano il primo grande scritto
speculativo del Medioevo, con ogni probabilità già compiuto
nell'anno 865: in esso
S.E. innestò la credenza cristiana nella
creazione e in un Dio personale distinto dalle sue creature su un impianto
schiettamente neoplatonico. Nell'opera si descrive il processo dialettico di
divisione e riunificazione dell'unica natura (concepita come l'insieme
dell'essere e del non essere) nelle sue quattro parti, per il quale l'universo
si dispone gerarchicamente dal livello massimo di unità e perfezione di
Dio, al livello minimo di molteplicità e imperfezione del mondo sensibile
che, tuttavia, tende a sua volta a ritornare all'unità.
S.E.
descrive così quattro
nature: la
prima natura crea e non
è creata, trascende ogni altro essere e non può essere definita
né compresa (teologia negativa); essa coincide con la Trinità
cristiana e si articola in tre sostanze (ingenita quella del Padre, genita
quella del Figlio, procedente da entrambe quella dello Spirito). Mediante una
successione di teofanie l'unica divinità si manifesta nella
seconda
natura, che è creata e crea: nel Figlio (il Verbo divino che
corrisponde al
logos platonico), infatti, sono presenti gli archetipi
delle cose, che ne costituiscono non solo la causa finale, ma anche la causa
efficiente. La creazione, quindi, non avvenne
ex nihilo ma a partire
dalle cause primordiali, le idee coessenziali al Verbo. Attraverso l'azione
moltiplicatrice e distributiva dello Spirito si passa alla
terza natura,
che è creata e non crea: si tratta del mondo sensibile, costituito dalla
molteplicità degli oggetti, unione di forma e materia, nel tempo e nello
spazio. Secondo il processo teofanico, dunque, Dio, pur mantenendo la propria
trascendenza, è anche immanente alle proprie creature che, secondo la
terminologia neoplatonica, mediante l'
exitus dalla divinità ne
conservano l'essenza. Per ciò stesso, Dio non solo è origine del
mondo ma ne è anche il fine: la
quarta natura, infatti, che non
è creata e non crea, consiste di nuovo in Dio, termine ultimo di questo
processo circolare, per cui la molteplicità della creazione ritorna alla
sua origine (è il concetto neoplatonico di
reditus). Principio
informatore di tutta la speculazione eriugeniana, che costituì anche il
momento fondante dell'intero percorso della filosofia scolastica, fu
l'affermazione dell'accordo intrinseco tra fede e ragione, che, procedendo
entrambe dalla medesima fonte della sapienza divina, sono considerate da
S.E. elementi inscindibili della ricerca intrapresa dall'uomo per
attingere la verità (Irlanda 810 - dopo l'877).